A Henry Chesbrough (e al suo primo libro) si deve l'espressione open innovation, entrata a pieno titolo nel linguaggio manageriale insieme al concetto che veicola: in un mondo in cui le fonti della conoscenza sono sempre più distribuite e diffuse, per spingere la crescita bisogna cogliere le buone opportunità al di fuori delle mura aziendali. Le imprese - di ogni dimensione - devono imparare a gestire un processo innovativo "aperto" agli stimoli esterni, capace al contempo di esportare quelle idee che all'interno non verrebbero messe a frutto. Per realizzare profitti diventano allora necessari nuovi modelli di business, improntati a questa apertura. Il volume propone quindi una serie di strumenti utili per la loro diagnostica e prende in esame ostacoli e rischi del percorso di apertura, indicando come sfruttare al meglio le opportunità presenti all'esterno, sul mercato delle idee e delle tecnologie. In un contesto di protezione di marchi e brevetti, l'impresa deve imparare innanzitutto a gestire e valorizzare la proprietà intellettuale e, a partire da essa, ideare modelli di business innovativi, in grado di far leva sugli asset intangibili per accrescere la competitività. L'edizione italiana è arricchita dal racconto di decine di casi di aziende che nel nostro Paese hanno saputo innovare il loro approccio al mercato proprio cogliendo nuove opportunità dall'esterno.
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Proprio rispetto allle economie derivanti dall'open data, c'è un passaggio di particolare interesse dell'intervista, in cui Lewis prova a fare il punto su quelli che sono - a suo avviso - i modelli emergenti di business basati sui dati aperti, arrivando a profilare cinque differenti tipologie di approcci delle imprese al tema:
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