Nel Messico del 1910 un popolo di contadini si solleva perché non vuole essere scacciato dalla terra su cui è nato e cresciuto. A dar fuoco alle polveri sono i contadini del Morelos, ma l'esplosione coinvolge ben presto l'intero paese. È l'epopea degli Indios e dei Peones, ma è soprattutto il tempo di Emiliano Zapata, il contadino chiamato prima dal suo "pueblo" e poi da tutti i villaggi messicani a guidare la lotta. Emiliano Zapata si distingue da tutti gli altri capi rivoluzionari per capacità militari e per singolare intuito politico. Il leader si appropria dell'arte dell'insurrezione, impara e perfeziona la tattica e la strategia della guerriglia e, soprattutto, si sforza sempre di far coincidere l'azione rivoluzionaria con le attese dei contadini e con le istanze democratiche delle città. Costretto a una lunga lotta, violentissima e senza esclusione di colpi, Zapata crea un vero e proprio esercito popolare di liberazione che, attraverso durissime prove - dal fallimento di Madero al tradimento di Carranza - riesce a condurre la politica messicana a importanti riforme nelle campagne. Prefazione di Valerio Evangelisti.
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Scrive lo storico americano John Womack junior nel suo libro Morire per gli indios. Storia di Emiliano Zapata (titolo originale: Zapata and the Mexican Revolution, 1968; traduzione italiana di Margherita De Donato, Milano, Arnoldo Mondatori Editore, 1973, 1977, pp. 305-309):